L’angelo della storia e la memoria


Seguendo il canone interpretativo di Walter Benjamin, l’Angelus Novus di Paul Klee è altrimenti nominabile come l’Angelo della Storia. Ma in che cosa consista la sua novitas non ci viene detto. In quel quadro pare trasformarsi nell’Angelo Giudicante. L’Angelo della Storia. Vede la storia e i suoi lutti, lutti da giudicare? Una tempesta spira però dal Paradiso e gli impiglia le ali per impedirgli di “ricomporre l’inferno”. 

Anche il Papa aveva parlato del silenzio di Dio. Dio che nasconde il suo volto “per tutto il male … fatto” (Deuteronomio 31:18). Dietro il celarsi di un volto si nasconde l’incapacità umana di vederlo quando c’è. E nelle scritture il: "non nascondermi il tuo volto" lo troviamo come espressione di una angoscia e di una ricerca costante. E allora l’olocausto come assenza di Dio o anche e soprattutto come assenza dell’uomo?

Questa è stata la rimemorazione della apertura dei cancelli di Auschwitz, dove si compì in larga misura lo sterminio degli ebrei. Rimemorazione che, si è detto, non può diventare routine, ma servire per riannodare i fili della storia della tragica unicità della Shoah. La memoria dei crimini commessi, anche da noi, non si compensa solo ricordandoci che fummo capaci di ribellarci alla tirannide o che singoli aiutarono molti a salvarsi, ma auspicando luce sulle pagine scomode.

Sfogliando ad esempio le pagine della "Difesa della razza", come fa Valentina Pisanty, in un libro che è stato presentato a Milano da Umberto Eco, si rimane colpiti dall’abbondanza degli stereotipi razzisti tramite cui, in ogni numero della rivista, i diversi gruppi umani (ebrei, africani, slavi, meticci, ecc.) venivano denigrati per sostenere, per contrasto, la presunta superiorità della "pura razza" ariana (o italiana). Da questo punto di vista, la "Difesa della razza", e alcuni geografi furono complici anche con le teorizzazioni sulla geopolitica totalitaria, non fece che attingere da un vasto repertorio di pregiudizi già sedimentati nella mentalità comune. Casomai, si può dire che la rivista contribuì a cristallizzare, a perpetuare e a legittimare queste rappresentazioni xenofobe, le quali erano assurte a ideologia dominante (non dimentichiamoci che, in quel contesto, l’epiteto "razzista" andava inteso come un complimento). Ma l’elemento di relativa novità era costituito dalla pretesa (presa in prestito dalle teorie ottocentesche circa la naturale "ineguaglianza delle razze") di dare basi scientifiche al razzismo, legittimandone i fondamenti. 

Giornata della memoria quindi per comprendere il senso di eventi orrendi e per tentare di capire con uno sforzo continuo della ragione il perché ciò sia potuto accadere. L’oblio è il contrario della storia. Si è ricordato non solo per capirne le cause ma per verificare se esse in qualche modo sopravvivono nel nostro tempo. Allora ci fu una cultura della discriminazione razziale che diventò l’ideologia portante di un regime; una strategia industriale, tecnologicamente adeguata, dello sterminio; una ricerca spietata della vittima fino all’annichilimento. Questo può in qualche modo ripetersi?

“Non ci sono demoni, scriveva Primo Levi, in "La ricerca delle radici" assassini di milioni di innocenti sono gente come noi, hanno il nostro viso, ci rassomigliano”. 

Certo è difficile oggi bloccare, per via delle vicende mediorientali, l’alibi di comodo secondo cui le vittime di allora sarebbero i carnefici di oggi. Ma, proprio per esorcizzare le fughe in avanti del riduzionismo e dell’antisemitismo, questo ricordare l’incommensurabile tragicità della Shoah, deve significare che bisognerà far si che i due popoli sperimentino finalmente un futuro di convivenza. Anche il Papa, che qualche anno fa aveva chiesto perdono per i negligenti, e talvolta indirettamente complici, atteggiamenti della Chiesa e di tanti cattolici, ha sottolineato come non occorrano muri tra i due popoli, bensì ponti per una nuova comunicazione. Questi due popoli per continuare a vivere dovranno volenti o nolenti imparare a vivere assieme. “Perché se la storia è tanta, forse perfino troppa, lo spazio è poco e bisogna rassegnarsi a condividere…” La strada che porta al futuro è una soltanto, senza equivoci di sorta: due stati per due popoli che una volta erano nemici (Elena Loewental). Banale utopia, ma anche l’unica ammissibile Realpolitik.

Così la memoria che separa l’umano dal disumano sarà più forte delle contrapposizioni politiche e anche territoriali. Ma la memoria non tornerà per via delle commemorazioni. Dovrà venire da sola. Dovrà rinascere dentro. Deve ridiventare cultura, punto di riferimento, di aggregazione. Patrimonio degli uomini del nostro tempo.

Quelli che uscivano in quei giorni da Auschwitz, scrive ne "La Tregua" Primo Levi, ”non salutavano, non sorridevano; apparivano oppressi, oltre che da pietà, da un confuso ritegno…era la stessa vergogna…che il giusto prova davanti alla colpa commessa da altrui, e gli rimorde che esista, che sia stata introdotta irrevocabilmente nel mondo delle cose che esistono e che la sua volontà sia stata nulla…”. E allora il punto era di capire… “perché…Auschwitz è stato un accidente della storia…”. E di interrogarsi: “non si ripeterà più o e destinata a ripetersi come una modalità inscritta nel DNA del genere umano?” Nell’insonnia della ragione adesso si rinnova la rimemorazione della apertura dei cancelli di Auschwitz, dove si compì in larga misura lo sterminio degli ebrei. Rimemorazione che non può diventare routine, ma che deve servire per riannodare i fili della storia della tragica unicità della Shoah. Giornata della memoria quindi per comprendere il senso di eventi orrendi e per tentare di capire con uno sforzo continuo della ragione perché ciò sia potuto accadere. 

L’Angelo della Storia ha cantato inni di lode e forse attende di cantarne ancora. Però al momento era come se non conoscesse canto. Vedeva la storia e i suoi lutti, i lutti che propongono il tema dell’onnipotenza di Dio. 

Davanti a noi si aprono stupefatti, angosciosi interrogativi. Quelli ad esempio che la coscienza ebraica ha incontrato ad Auschwitz: un abisso di smarrimento e di dolore, proprio questo problema sollevava un apice di angoscia sull’ontologia del male (in ultima istanza riportabile a Dio, o da Dio impotentemente subìto?). Lo smarrimento e l’angoscia non sarebbero così intensi se tutto non fosse in gioco, ossia il senso stesso della vita e l’essenza di Dio.

Hans Jonas infatti, nel "Concetto di Dio dopo Auschwitz", aveva affermato -il suo vorrebbe essere più che un paradosso- che ”certamente Dio dovrebbe essere incomprensibile se con la bontà assoluta gli venisse attribuita anche l’onnipotenza”. E aggiunge che Dio non sarebbe intervenuto “ non perché non lo volle, ma perché non fu in condizione di farlo”. In altri termini: concedendo all’uomo la libertà è come se avesse rinunciato alla sua potenza. Da qui la sua impossibilità di intervenire nella storia del mondo. Alla fine però, e non poteva dire diversamente, Jonas riconosce che ogni teodicea, cioè ogni tentativo -compreso il suo- di rispondere a quelle che erano state anche le domande inquietanti domande di Giobbe, è soltanto un “balbettio”.

Ma tutto questo interrogarsi certamente scandaloso, questo sofferto “balbettio” ci riporta all’assurdo non solo umano di quella storia.

Ma non è dalla filosofia che può giungerci la salvezza, aggiunge altrove Hans Jonas: questa ha la missione unica di tener vive le “antiche, venerabili, grandi idee della sfera etica e di riformularle in accordo ai nuovi modelli cognitivi.

Per la responsabilizzazione etica dell’umanità. 

Un ragazzo salvato dal campo di sterminio e divenuto premio Nobel, Imre Kertesz così dirà su un libro "Il secolo infelice", presentato dall’ultimo domenicale del Sole24ore: "…qualsiasi dittatura contiene in sé la virtualità di Auschwitz".

E una rimeditazione del famoso detto di Adorno, secondo cui, dopo Auschwitz, non si possono più scrivere poesie. Kertesz lo rilegge così: dopo Auschwitz si possono scrivere poesie solo su Auschwitz.


Giuseppe Campione © Diritti Riservati
(ex Presidente Regione Sicilia n.d.r.)

Posta un commento

1 Commenti

  1. Sono in linea con quello che ha scritto Hans Jonas. Dio non è intervenuto proprio perché ha dato libertà all'uomo di decidere delle proprie azioni. Non è che Dio non abbia visto o si sia chiuso gli occhi di fronte alle ignominie. Nel bene, o nel sommo male, ha lasciato che l'uomo agisse a propria discrezione.
    Ecco la risposta alla domanda che spesso ci poniamo anche in altre umane occasioni:"Ma Dio non vede? Come può permettere certe cose?".
    La risposta, ripeto, per le cose che ci riguardano, è da ricercare nella nostra totale libertà d'azione e di pensiero che Lui ci ha concesso. Dio è sommamente coerente, nel nostro rispetto, anche quando non lo meriteremmo.
    Poi ognuno pagherà per quanto ha fatto, alla resa dei conti.

    Cesare

    RispondiElimina

Lascia un tuo pensiero :-)